Lo Stretto di Messina

Visitare il proprio archivio fotografico suscita domande su se stessi, sul significato che abbiamo cercato di dare alle fotografie, sul senso che abbiamo tentato di comunicare. Soprattutto ci interroghiamo sull’origine del significato e su quanto abbia influito sul modo di fotografare e sulla scelta delle fotografie. Tra le altre cose ieri ho visto nuovamente una serie che ho realizzato nel dicembre del 2008 e ho provato nuovamente quelle sensazioni di “magia” che mi avevano guidato. Provo ad esplicitarle.

Intanto un sentimento legato a quanto studiato a scuola: la fama epica di Scilla e Cariddi, mare indomito le cui correnti e i cui venti mettono a dura prova ancora oggi una imbarcazione che si avventurasse con la sola vela. Eppure Ulisse…

Poi il ricordo della sensazione di trovarsi, sul traghetto, tra la Sicilia e “il continente” quando da ragazzi si facevano in treno i primi avventurosi e squattrinati viaggi. Non so se per tutti  è stata la stessa cosa, per me era una emozione legata alla libertà dal cordone ombelicale.

Infine i racconti familiari (mio padre durante la guerra aveva abitato lì), fatti di bombardamenti, di truppe che di notte si imbarcavano, ma anche di racconti di pescespada, di mare incontaminato, di uomini ancora in armonia con il loro luogo.

Le immagini della serie sono fatte in maggioranza da “Dinnammare” e dalla strada per arrivarvi, percorsa sia di pomeriggio/sera che di mattina prestissimo, anche prima dell’alba, sotto una pioggia torrenziale.

Provo a mostrarne e a commentarne qualcuna.

La catena dei Peloritani. Il sole basso del tramonto filtra sotto le le nuvole, la sensazione è molto drammatica. In fondo siamo solo dei piccoli uomini. La montagna ostacola il cammino ma anche unisce e raccorda le valli, i crinali separano, facendole baciare, abitudini e tradizioni. Lo sguardo non può che essere pensoso.

 

L’ultimo raggio di sole colpisce il pilone di Capo Peloro. Oggi in disuso, reggeva i cavi dell’alta tensione che ci collegavano alla rete elettrica nazionale. Qui finisce la terra, avventurarsi nel mare significa proiettarsi altrove.

 

E’ l’alba, piove a dirotto, si naviga nell’oro del mattino. Si deve andare avanti, sempre, comunque.

 

Tra le due sponde dello stretto è sempre un brulicare quasi organico.

 

Il mare, protagonista costante. Amico severo.

 

 

Rispondi