Terre al sole

“Me patri c’avia i terre u suli e u cumanno supra l’ommini.”

Così si esprimeva, non molti anni, fa la “zia Santina”, piccola, dura, inflessibile madre e donna siciliana . La frase echeggia tantissimi temi e rimanda a tratti caratteristici della cultura siciliana, amore per il comando in testa, tanto che un detto popolare, assai poco edificante, recita: “cumannare è megghio che futtiri”. Ma il richiamo alla terra e al sole sembra trovare una sorta di motivazione al comando, un diritto che proviene dal possesso, che emana dalla disponibilità di un proprio spazio e un proprio territorio.
C’é anche dell’altro, naturalmente, ad esempio il fatto che dalla terra viene il sostentamento, dall’unione magica di terra e sole. Il proprietario quindi comanda ma anche nutre e in un certo senso, magari anche spietatamente, accudisce.
La mente echeggiante di questo genere di sensazioni, mi sono messo a girare per gli antichi granai dell’entroterra siciliano, il regno della collina asciutta di bassa e media quota, dei colori mediterranei per eccellenza, della restuccia e dell’allodola. Grandi estensioni di terreno che pensavo per lo più in abbandono e che invece ho trovato per la maggior parte ancora a coltura. Personalmente ho ancora ricordo della mietitura e della “pisata”, fatte a mano e con gli animali. Sotto un sole impietoso uomini, e donne, vestiti di nero, compivano i noti gesti di un ciclo secolare. Con l’ombrello aperto, ma per farsi ombra, il “soprastante”.
A dispetto di un calo tutto sommato modesto della superficie agraria il calo del numero di addetti, della quantità di uomini e donne che si occupano di agricoltura risulta drammatico. Credo che questo si veda charamente dalla raccolta “Terre al sole”: una sorta di desolazione permea le diverse immagini che pure mostrano una struttura ordinata, mostrano come ancora il caos sia tenuto a distanza, la terra non è stata abbandonata. Ma insieme giunge la domanda: per quanto tempo ancora?
In ripresa ho privilegiato la media e la lunga distanza e ho adoperato lunghe focali per concentrare l’attenzione dell’occhio sugli elementi piú rilevanti. Pur non disdegnando il valore estetico del risultato, non é questo che ha costituito il cuore della ricerca; che invece si concentra sulla permanenza: il grano viene ancora seminato e raccolto, la terra viene ancora arata e concimata. Ma sembra mancare quasi del tutto l’elemento umano, un’assenza che sottolinea la marginalità di questa agricoltura.